sabato 25 giugno 2011

Milena

Caldo sabato pomeriggio di giugno. Tra i pensieri concessi e quelli maledetti si insinua il ricordo di un libro letto tanto tempo fa, Lettere a Milena di Franz Kafka. Un libro da un involontario sapore speciale, di cui ne serbo addirittura un chiaro ricordo emotivo. Non solo le parole intime e controverse di Kafka, ma anche la copertina, lo spessore delle pagine, l'attenzione prestata e il momento esatto in cui il mio amico mi consigliò di leggerlo sono parte del piacere che provo tutte le volte ad evocarlo. Anche oggi.
Sì anche oggi penso a Milena. Strano le lettere sono di Kafka, ma su di lei si focalizza sempre la mia attenzione. Lui scompare di fronte all'immagine di quella donna capace di fargli dire: «Ho paura e paura, cerco un mobile sotto il quale posso nascondermi, prego tremando e fuori di me perché tu, che sei entrata rombante in questa lettera, possa volare di nuovo dalla finestra, non posso tenere in casa mia un uragano».

Così tutti i miei affanni, le mie incombenze, i miei pensieri svaniscono di fronte al patire di Kafka, a quelle paure esasperanti. Immagino la giovane Milena che legge quelle lettere, che si angustia per questo uomo tanto illustre e tanto oscuro.
Milena Jesenská è stata giornalista, scrittrice e traduttrice ceca, morta nel 1944 in un campo di concentramento. La Milena di Kafka. E la mia Milena.

«Se tu volessi venire da me, se dunque volessi abbandonare tutto il mondo per scendere da me…non dovresti scendere, bensì sorpassare in modo sovrumano te stessa, in alto, oltre te stessa, talmente che dovresti forse dilaniarti, precipitare, scomparire (certo anche io con te). E tutto ciò per arrivare in un punto che non ha niente di allettante».

In una lettera Kafka scrive: "Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso". Questa frase ha ispirato il titolo di un'opera di David Grossman, Che tu sia per me il coltello. Un altro libro che mi evoca fatti, persone, sentimenti. Myriam e Yair si scrivono, si parlano, si amano. Io leggevo di loro in un altro giugno caldo, con un cuore colmo di speranze per qualcuno e per qualcosa che non farà in tempo ad arrivare all'autunno. Yair è scomparso, ma Myriam è ancora viva. Già.

lunedì 20 giugno 2011

20 giugno, giornata mondiale del rifugiato

Nel luglio del 1951 veniva firmato a Ginevra il primo accordo internazionale riguardante lo status del rifugiato: gli Stati dell'ONU sono tenuti a garantire protezione a chi fugge per motivi di razza, nazionalità, religione, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche.
Alla Convenzione di Ginevra è dedicata quest'anno la giornata mondiale del rifugiato, promossa dall'Alto Commissionario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Questo 20 giugno è per loro, per i miei amici rifugiati. Coloro che mi hanno insegnato che si può amare a tal punto la propria patria da sacrificarle la vita, coloro che mi hanno insegnato che ci sono terre violentate da cui si deve scappare, coloro che mi hanno insegnato che si lasciano mamme in lacrime per tentare un futuro migliore, coloro che mi hanno insegnato che si può rischiare il futuro su un gommone a largo del Mediterraneo o nascosto in un camion diretto in Grecia, coloro che mi hanno insegnato che non si può vivere in un paese in cui vieni arrestato solo perchè stai parlando con una ragazza, coloro che mi hanno insegnato che cosa significa essere bambini soldato, coloro che mi hanno insegnato che l'Europa è un posto speciale, dove sono nati i "fortunati", coloro che mi hanno insegnato quanto un sorriso di un italiano sia importante per sopravvivere.
Sono loro, i miei amici rifugiati, che mi hanno insegnato e continuano ad insegnarmi che cos'è la SPERANZA:

Reza, Hadi, Babak, David (Iran)
Abdull, Halima (Eritrea)
Ajmal, Mohamad, Amjad, Javid, Omid, Masiullah, Hosseini (Afghanistan)
Isak, Wendossen, Teclai, Mekedes, Tadelec, Flora (Etiopia)
Humbert Alain, Marie Reine (Camerun)
e poi i ragazzi della Somalia, del Ghana, del Kurdistan turco, del Sudan.


sabato 18 giugno 2011

Ricordando José

"Abbiamo tutti i nostri momenti di debolezza, per fortuna siamo ancora capaci di piangere, il pianto spesse volte è una salvezza, ci sono circostanze in cui moriremmo se non piangessimo".
(Cecità, 1995)

Un anno fa moriva José Saramago. Un pensiero speciale per questo uomo i cui scritti mi hanno accompagnata per molti mesi, il cui ricordo mi rievoca fatti, persone, emozioni, luoghi.
Ciao, Josè.


"..è fin dall'inizio della vita che il signor Josè sa di aver bisogno solo di tempo per mettere a frutto la pazienza, è fin dall'inizio che aspetta che alla pazienza non venga a mancare il tempo"
(Tutti i nomi, 1998)


venerdì 17 giugno 2011

Avrei voluto



Clementine: Avrei voluto che fossi rimasto.
Joel: E io vorrei averlo fatto. Ora vorrei essere rimasto. Vorrei aver fatto molte cose. Vorrei... vorrei essere rimasto. Davvero.
Clementine: Tornai subito di sotto, ma non c'eri!
Joel: Ero uscito, me n'ero andato via.
Clementine: Perché?
Joel: Non lo so! Ero come un bambino spaventato e... era una cosa più grande di me. Non lo so...
Clementine: Avevi paura?!
Joel: Sì... pensavo che l'avessi capito.

martedì 7 giugno 2011

Lunedì mattina

When your whole world is shaken
from all the risks we have taken
dance with me into the colors
of the dusk




when you again start hoping
with your arms wide open
dance with me into the colors
of the dusk

and all will be right
dancing like water with the light
dance with me into the colors
of the dusk

domenica 5 giugno 2011

La dieta di nonna Anna

Mia nonna Anna è vissuta fino a 94 anni sempre in ottima forma. Non ha conosciuto malattie, ospedali e medicine (io non ricordo nemmeno di averla mai vista febbricitante). Era sempre vestita in modo decoroso, mai un capo messo per comodità domestica. I suoi folti capelli - sempre ben sistemati - non sono mai diventati completamente bianchi (li ravvivava con la brillantina, il cui nome ora mi fa pensare a tempi tanto lontani). Usava gli occhiali solo per leggere e lavorare all'uncinetto, e ci sentiva benissimo. Decine di volte al giorno faceva su e giù per le scale della sua casa senza alcuno sforzo. Non ha mai messo una crema idratante, eppure il suo viso aveva solo delle leggere rughe. Il suo corpo non ha conosciuto smagliature e cellulite, perchè queste sono regali degli agi moderni. Non ha mai fumato. E lo stress non sapeva neppure cosa fosse.
Nata in una buona famiglia, non ha mai dovuto sorportare i sacrifici della gente della sua terra. Le vicine di casa, a cui la vita non aveva risparmiato privazioni, me la indicavano come una donna molto fortunata. La sua buona sorte le aveva dato anche un marito generoso e paziente (al contrario di lei che aveva un caratterino deciso e imperioso). Si sono amati profondamente. Le lettere che mio nonno le scriveva dal fronte sono l'eredità più bella che ci abbiano lasciato. Morto 16 anni prima, nonna provava ad annullare la nostalgia per lui ricordandolo di continuo con tutti. Ogni mattina, appena sveglia, guardava la sua foto e nel pianto gli parlava a fondo. Poi andava a farsi un caffè e cominciava la sua giornata.
Quando chiuse gli occhi su questo mondo il direttore del giornale del paese le dedicò un trafiletto: la ricordava ventenne seduta nel giardino della sua abitazione intenta a chiacchierare con sua sorella. Austera ed elgante, diceva.
Io e mia sorella l'abbiamo ricordata oggi durante il nostro pranzo domenicale, allorquando ci siamo lanciate in una discussione sulla mancanza di una vita sana.
Nostra nonna faceva la stessa dieta da decenni, forse da tutta una vita. Era la seguente: pasta quasi tutti i giorni (rigorosamente banditi i sughi pesanti); carne due volte a settimana; il mercoledì e il venerdì erano le giornate dei legumi con pesce o uova; sabato - sia di inverno che d'estate - brodino. Una fetta di pane e una mela concludevano sempre il suo pasto. La sera mangiava una fettina di prosciutto cotto con la scamorza. Il pomeriggio té con i biscotti: si concedeva questa trasgressione perchè il suo salotto era sempre pieno di persone che andavano a farle visita, alle quali offriva un dolcetto o un bicchierino di vermout. Non variava il suo regime per nulla al mondo.
Noi abbiamo pranzato con lei per molti anni. Sapevamo che quel giorno c'era di sicuro quel cibo, che non ci sarebbero state sorprese culinarie. Era una vera tortura, per noi bambine, mangiare sempre le stesse cose. Tutta quella verdura e quei piatti semplici, quasi insipidi. Mai che ci fossero stati dei piatti diversi e più saporiti, mai un dolce a concludere il pasto.
A distanza di venti anni, quella che ci era sembrata una rigidezza esagerata e monotona, ci appare invece come un modo di mangiare a cui dovremmo ispirarci. Se vogliamo arrivare in fondo alla nostra vita dovremmo prenderla ad esempio. Come direbbe lei, dovremmo imporci una vita virtuosa. Mentre ci dichiaravamo i nuovi buoni propositi, silenziosamente io e mia sorella ci siamo dette: "e se cominciassimo domani?". In fondo, si sa, il domani è sempre qualcosa di rimandabile...