venerdì 24 febbraio 2012

Basta poco per una società più giusta, basta poco per essere migliori




I giusti 

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Jorge Luis Borges

giovedì 23 febbraio 2012

Il mondo in classe

Da un paio di anni faccio un lavoro meraviglioso: insegno lingua italiana agli stranieri. Oltre ad essere un mestiere giovane e divertente, mi dà la possibilità di viaggiare per il mondo restando in patria. Ciascuno studente entra in classe portandosi dietro la propria cultura e la propria educazione (tanto da rappresentare appieno lo stereotipo del popolo di origine), ti insegna la bellezza della propria terra e ti fa venire una gran voglia di visitarla: "ah sìì, devi andarci perché li c'è questa cosa, puoi mangiare quell'altra che solo lì è troppo buona, e poi...".
Oggi, con la mia classe del giovedì, abbiamo riflettuto proprio sull'internazionalità del nostro gruppo: ci siamo guardati e abbiamo notato che rappresentavamo l'Asia (Pakistan, Afghanistan, Bangladesh), l'Africa (Etiopia) e l'Europa (Turchia e Italia). Alla mia riflessione gli sguardi sono passati rapidamente uni sugli altri, e dopo esserci "riconosciuti" nei nostri tratti somatici, abbiamo riso fieri della nostra origine. E' stato proprio  un bel momento di unione globale.
Mai come in questo mese di febbraio ho avuto tanta varietà linguistica e culturale. I miei studenti sono rifugiati politici, migranti economici, mogli di italiani, una suora, una studentessa e dipendenti di aziende internazionali. Alcuni hanno storie di guerra e di violenza alle spalle, altri sono in Italia per amore, per studio, per lavoro. Sono cattolici, ortodossi, musulmani. Quasi tutti parlano inglese, sebbene ci tengano con particolare trasporto ad insegnarmi qualche espressione nella loro lingua. Amano l'Italia per il bel tempo, le donne (come direbbero i due ingegneri turchi malandrini) o gli uomini (come risponderebbero Cathy di Pechino e Donata di Varsavia, mogli felici di maschi italiani), per il cappuccino e il cornetto, per la moda e per il mare; la detestano per i prezzi troppo alti, per la scarsità di lavoro e per la disorganizzazione (tutto come da copione, poi dice che gli stereotipi sono fasulli in tempi di globalizzazione!).
Tutti scimmiottano nell'intonazione gli italiani e si divertono ad imitare il mio di "italiano" scambiandosi sorrisini di intesa e regalandomi sorrisoni di affetto. Per tutti, ma proprio per tutti, vorrei essere una degna ambasciatrice del mio Paese, vorrei che il loro processo di integrazione potesse giovarsi del mio supporto linguistico e umano. Ogni volta che li incontro sogno di poter regalare a ciascuno di loro un pezzettino di calore domestico in un'Italia all'apparenza meno accogliente. 


Elenco del mondo che entra nella mia classe in questo mese di febbraio:

- Pakistan
- Afghanistan
- Etiopia 
- Bangladesh
- Kurdistan turco
- Grecia
- Turchia
- Ungheria
- Nigeria
- Cina 
- Romania
- Polonia

giovedì 16 febbraio 2012

Lobo Antunes mi insegna

Il mio professore di Storia contemporanea all'università diceva sempre che se si vuole capire bene il Novecento è necessario leggere tanta letteratura. È con i romanzi, aggiungeva, che la storia si sarebbe sedimentata dentro di noi molto più di tutti i manuali che saremmo stati costretti a studiare. Ogni volta che mi trovo davanti un libro in cui il tempo è un protagonista indiscutibile penso alle sue parole. Credo che la pagina sulla Resistenza mi sia stata insegnata soprattutto da Beppe Fenoglio, Renata Viganò, Carlo Levi, Carlo Cassola, Italo Calvino; per non parlare del lavoro che hanno fatto su di me Il Gattopardo, I viceré, I vecchi e i giovani, Metello (per citare i primi titoli che mi sono venuti in mente). Su tutti troneggia La Storia di Elsa Morante: ogni volta che mi reco nel quartiere San Lorenzo a Roma "rivedo" i palazzi distrutti dal bombardamento del luglio del '43 con le parole della scrittrice romana, e mi commuovo. Piccolo inciso: il personaggio di Ida è il più bello di tutta la letteratura italiana novecentesca (secondo me).
Io direi che per avere un'idea chiara del passato, però, non sono importanti solo i grandi scrittori, talvolta anche il cinema diventa maestro. Se si vuole capire com'era la società statunitensa negli anni '50 bisogna guardare un film meraviglioso, Lontano dal Paradiso (Far from Heaven, di Todd Haynes, 2002). Preparai l'esame di Storia degli Stati Uniti pensando e ripensando a quel film e a quelli di Douglas Sirk (a cui l'opera di Haynes si ispira). Ancora oggi se mi capitata di sentire dei riferimenti a quel periodo storico ripenso a quell'esame e al cappotto rosso fuoco di Julianne Moore! 
Tutto questo era per introdurre un libro che ho appena finito di leggere e che ho amato molto. Si tratta de Lo splendore del Portogallo di Antonio Lobo Antunes, considerato da molti il miglior scrittore portoghese vivente. 
Perché questo libro è stato importante per la mia formazione? Perché per la prima volta ho capito che cosa è stato il colonialismo portoghese. Le vicende, infatti, si snodano tra Lisbona e l'Angola, sebbene sia soprattutto quest'ultima con i suoi rapaci coloni la protagonista indiscussa del romanzo. Impietoso, Lobo Antunes, nel descrivere i portoghesi in terra di Africa: ambiziosi, corrotti, avidi. Una volta abbandonata l'Angola in preda alla guerra civile troveranno una vita lusitana poco generosa nei loro confronti. In patria finiscono per diventare i negri dei portoghesi (come uno dei protagonisti dichiara). Essi sono proprio la migliore rappresentazione del falso splendore del colonialismo portoghese.


Mio padre soleva spiegare che ciò che eravamo venuti a cercare in Africa non era denaro né potere ma negri senza denaro e senza nessun potere che ci dessero l'illusione del denaro e del potere [...] mio padre soleva spiegare che ciò che eravamo venuti a cercare in Africa era trasformare la vendetta di comandare in ciò che fingevamo fosse la dignità di comandare.


Lo Splendore del Portogallo (O esplendor de Portugal), Antonio Lobo Antunes, Einaudi, 2002. 


mercoledì 15 febbraio 2012

"Riempirò questo tuo volto di ricordi..."

Alla fine non ho resistito e ho aperto questo post. Volevo risparmiare i miei sproloqui in questa giornata (come si sono invece affrettati a fare tante e tanti su tutti i mezzi e tutte le bocche, ahinoi), per questo ho tentennato parecchio prima di decidermi. Tuttavia mi è impossibile astenermi dallo scrivere - o come meglio si direbbe in questo luogo e in questo tempo - dal postare qualcosa per san Valentino. Desidero farlo in modo diverso: lascio alle vere parole di Passoa di rappresentarmi, così da sentirmi più sofisticata. Almeno oggi, almeno nel giorno di san Valentino, metto da pare la cultura da ceto medio e mi ammanto di alterigia intellettuale. D'altra parte non trovo altro modo per differenziarmi dalla massa in questa tipica festa del becero mondo. (Gulp che supponenza! Buon san Valentino, bom dia dos namorados) . 

*importante prima di leggere: non ho la più pallida idea del titolo e dell'anno di queste poesie. Mi sono limitata a leggere delle poesie dello scrittore portoghese senza sincerarmi di altre informazioni. Copio e incollo da internet come fanno un po' tutti. Stasera sono troppo stanca per svolgere ricerche approfondite, pertanto mi si perdoni l'arbitrarietà. 

Quero ser o teu amor amigo. Nem demais e nem de menos.
Nem tão longe e nem tão perto.
Na medida mais precisa que eu puder.
Mas amar-te sem medida e ficar na tua vida,
Da maneira mais discreta que eu souber.
Sem tirar-te a liberdade, sem jamais te sufocar.
Sem forçar tua vontade.
Sem falar, quando for hora de calar.
E sem calar, quando for hora de falar.
Nem ausente, nem presente por demais.
Simplesmente, calmamente, ser-te paz.
É bonito ser amor amigo, mas confesso é tão difícil aprender!
E por isso eu te suplico paciência.
Vou encher este teu rosto de lembranças,
Dá-me tempo, de acertar nossas distâncias...

Fernando Pessoa (Lisbona 1888-1935) è considerato uno dei massimi poeti in lingua portoghese. 


É fácil trocar as palavras,
Difícil é interpretar os silêncios!
É fácil caminhar lado a lado,
Difícil é saber como se encontrar!
É fácil beijar o rosto,
Difícil é chegar ao coração!
É fácil apertar as mãos,
Difícil é reter o calor!
É fácil sentir o amor,
Difícil é conter sua torrente!


Como é por dentro outra pessoa?
Quem é que o saberá sonhar?
A alma de outrem é outro universo
Com que não há comunicação possível,
Com que não há verdadeiro entendimento.


Nada sabemos da alma
Senão da nossa;
As dos outros são olhares,
São gestos, são palavras,
Com a suposição
De qualquer semelhança no fundo.


domenica 12 febbraio 2012

Guardando la Grecia con gli occhi di un'europea

Seguo la diretta dal Parlamento greco e provo tanta apprensione per quanto chiederanno al popolo ellenico: è come se lo stessero chiedendo al mio futuro. Provo il medesimo timore per questa ipoteca ingiusta; provo rabbia e provo costernazione come se riguardassero direttamente me. Ma forse il punto è proprio questo: riguardano me. Mi sento europea, profondamente europea, e quello che accade ad Atene o a Berlino appartiene a me. E non perché temi che un default della Grecia possa incidere sulla recessione italiana, ad altri lascio il piacere di discettare su questo. Per me conservo solo considerazioni più puramente sentimentali: come il senso di appartenenza al popolo europeo, per esempio. Mi sento italiana ed europea, non solo sul passaporto. Mi piace muovermi sul vecchio continente liberamente, senza dover affrontare i fastidi - burocratici e mentali - che le frontiere impongono; mi piace sentirmi parte di una cultura vasta e sfaccettata che ha maestri che si esprimono in lingua diversissime; mi piace che norme e direttive comuni contribuiscano al progresso di talune politiche nazionali; mi piace insomma sentirmi parte di questo popolo.  È per questa ragione che continuo ad essere un'europeista convinta, nonostante i tanti "se" e tanti "ma" legati al modo in cui si è deciso di instradare il processo di integrazione. Continuo a sognare ardentemente un'Europa più unita, più integrata, più solidale: insomma un'Europa che non lasci da solo il popolo greco, ma che cresca assieme al popolo greco.



Aspettando i barbari (1908)

Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i Barbari oggi.
Perché un tale marasma al Senato? Perché i Senatori restano senza legiferare?
E' che i barbari arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i Senatori?
Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore, levatosi sin dall'aurora, siede su un baldacchino alle porte della città, solenne e con la corona in testa?
E' che i Barbari arrivano oggi. L'Imperatore si appresta a ricevere il loro capo. Egli ha perfino fatto preparare una pergamena che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata? Perché si adornano di braccialetti d'ametista e di anelli scintillanti di brillanti? Perché portano i loro bastoni preziosi e finemente cesellati?
E' che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano con la loro consueta eloquenza?
E' che i Barbari arrivano oggi. Loro non apprezzano le belle frasi né i lunghi discorsi.
E perché, all'improvviso, questa inquietudine e questo sconvolgimento? Come sono divenuti gravi i volti!
Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta e perché rientrano tutti a casa con un'aria così triste?
E' che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari...
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano comunque una soluzione.

Konstantinos Kavafis

lunedì 6 febbraio 2012

Per commemorare Truffaut

Oggi François Truffaut avrebbe compiuto 80 anni. Il regista francese, esponente della Nouvelle Vague, ha un posto d'onore nel mio Pantheon immaginario. 
Gli rendo omaggio con le sue parole e con le sue immagini, con quelle parole e quelle immagini che sono ormai parte del mio pensiero. 

Il vero orrore è quello di un mondo in cui è proibito leggere, dunque è proibito conoscere, amare, ricordare.
(Fahrenheit 451, 1966)


Lasciamoci vivere. Le etichette le metteremo dopo.
(Le due inglesi, 1971)



I 400 colpi, 1959.


Tutti coloro che scrivono sono un po' matti. Il punto è rendere interessante questa follia.



 Jules e Jim, 1962.

domenica 5 febbraio 2012

Ti adoro, Jeanne

A volte succede che degli antichi amori spuntino tra i tuoi ricordi improvvisamente. Questo capita spesso in quelle tediose domeniche invernali allorquando sei costretta a stare chiusa in casa a causa del freddo e del raffreddore e non puoi fare altro che pensare e ripensare per sentirti meno sola.
Oggi pomeriggio ho accolto cum gaudio il ricordo di alcuni registi con cui ho amoreggiato per un certo periodo, Ingmar Bergman e François Truffaut.
Del regista francese, in particolare, ripensavo al suo Jules e Jim. In quel film c'è una Jeanne Moreau fantastica. Mi correggo: Jeanne Moreau è sempre fantastica! Di lei diceva Truffaut: "ogni volta che me la immagino a distanza la vedo che legge non un giornale ma un libro, perché Jeanne Moreau non fa pensare al flirt ma all'amore".






"Non so se sia fatta per avere un marito, dei figli... Ho la sensazione che non sarà mai felice su questa terra: Catherine non sembra una donna reale, forse non è fatta per un solo uomo."
Jules e Jim, François Truffaut, 1962.



Signora Ava

Interessante e poco noto romanzo di Francesco Jovine (colui che ebbi l'ardire di portare all'esame di maturità), Signora Ava è un'opera che merita il suo posto nella letteratura sull'Unità di Italia. Il suo valore aggiunto è quello di raccontarci un Risorgimento poco noto, poco considerato: il Risorgimento nelle terre molisane, terre lontane, povere, provinciali com'erano al tempo del Regno borbonico e come lo sono oggi nell'Italia coeva. Con un finale proprio bello, metaforicamente bello e triste. 
Il titolo si rifà ad un antico detto meridionale: "O tiempo da Gnora Ava nu viecchio imperatore a morte condannava chi faceva a’mmore".



«Don Matteo incontrò i volontari, si tolse il cappello e incominciò ad agitarlo in segno di gioia. Poi gridò: “Evviva la libertà!”. “Alla chiesa, alla chiesa per esporre il ritratto”, dissero alcuni. Gli spiegarono che in tutti i paesi dove erano passati e che avevano fatto la rivoluzione, in chiesa al posto del ritratto di Re Francesco mettevano quello del nuovo Re. Don Matteo fu portato in trionfo davanti al sagrato dove un folto gruppo di donne, di contadini, di ragazzi era apparso al rumore. Concetta, alta, solenne, col capo chiuso in bende nere gridò: “Allegri figlioli, è arrivata la repubblica!”».
Signora Ava, Francesco Jovine, Donzelli Editore, 2010.

Domenica pomeriggio per la signorina G.


Sussurri e grida, Ingmar Bergman, 1972.



sabato 4 febbraio 2012

La mia San Bernardino

                                           (foto di Marino)

giovedì 2 febbraio 2012

Un omaggio a Stefano

Per Stefano che dall'Iran guarda la sua Santa Croce del Sannio coperta dalla neve.
La fontana che fu testimone di un inaspettato saluto dopo 15 anni di silenzio. Capita a volte nella vita.

(Foto di Proloco Santa Croce del Sannio) 
                             
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".
("La luna e i falò", Cesare Pavese).


Ciao Wislawa

È Concita De Gregorio che su twitter mi dà per prima la notizia della scomparsa della Szymborska. Quel suo "Szymborska  in the sky" mi allerta i sentimenti, poi altri tweet me ne danno la conferma. Così è da un social network, da quel borioso di twitter, che vengo a conoscenza della dipartita della poetessa polacca che amavo molto. Tempi moderni: la voce più intima della Polonia, incoronata a Stoccolma, viene celebrata innanzitutto dai mezzi di comunicazione più veloci e più superficiali. Tanti oggi, grazie ad essi, impareranno il tuo nome. Se questi strumenti servono a diffondere le tue parole, Wislawa, e con te quell'ancora troppo sconosciuta a noi tronfi europei dell'ovest letteratura dell'Europa orientale esultiamo per la loro onnipresenza. 

Io voglio ricordarti con i tuoi versi, quelli della poesia che più amo, Sotto una piccola stella (1972):

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
 [...]
Chiedo scusa al tutto, se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti, se non so essere ognuno e ognuna.

mercoledì 1 febbraio 2012

Spesso molto spesso il mio canto libero sei tu

In un mondo che
non ci vuole più
il mio canto libero sei tu
E l'immensità
si apre intorno a noi
al di là del limite degli occhi tuoi

                    


La veste dei fantasmi del passato 
cadendo lascia il quadro immacolato 
e s'alza un vento tiepido d'amore 
di vero amore 
E riscopro te 
dolce compagna che 
non sai domandare ma sai 
che ovunque andrai 
al fianco tuo mi avrai 
se tu lo vuoi 

Nostalgia di casa

Nostalgia di casa, della mia terra in questo primo giorno di febbraio. Guardo le foto che i miei compaesani stanno postando sui vari social network mentre mi prende una grande commozione nel vedere il nostro ventre materno innevato. 
Che voglia di essere lì a guardare la neve che cade sui tetti del centro storico; che voglia di sentire sul volto quel vento tagliente; che voglia smisurata di riempire i polmoni e il cuore con la mia aria invernale. 
In un baleno mi passano davanti agli occhi i luoghi, le persone e gli anni: io sono loro, loro sono me. Mi basta una foto per ricordami chi sono. Quella foto parla di me e di noi molto più di tante minuziose descrizioni. Forse per questo, appena vista, l'ho inviata al mio prediletto conterraneo lontano. Non è stato necessario chiosarla: immaginiamo quali emozioni ha provato l'altro nel guardarla, sappiamo esattamente cosa significa per me e per lui la nostra terra accarezzata dalla neve. 
Questa è la nostalgia di casa, questa è la nostalgia dell'emigrante. 

                                         (Foto di Ester)

“Nasciamo, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”. R. M. Rilke in Lettere milanesi.

                                         (Foto di Donatella)


                                         (Foto di Angelo)