mercoledì 31 luglio 2013

Io sto Cécile

Un mirabile Erri De Luca in un tweet scritto per la ministra Kienge, ma che è per tutti noi. Non solo leghisti.

A Cecile K: non vada al raduno di chi odia la sua pelle, i loro visi pallidi trasudano un decolorante scaduto, sono meticci e non lo sanno.




Quanto sei piccola, mia Italia.

martedì 30 luglio 2013

At the mall

E' stato amore a prima vista tra di noi. Di quegli amori che ti fanno girare e rigirare nel letto pensando a quando e come sarà possibile rivedersi per scegliersi per sempre. L'avevo scorta in mezzo a tante e più appariscenti colleghe, lei così riservata, così minuta, con quel suo colore timido. Non potevo lasciarla lì dov'era, dovevo assolutamente prenderla e portarla nel mio mondo affinché potesse divenire una degna accompagnatrice per quei momenti della vita dal sapore conturbante. 
E così ho deciso di sfidare il timore di perdermi su un autobus con fermate dai caratteri incomprensibili per correre da lei, da quella giacca color nocciola che si trovava rinchiusa in un negozio dell'Har'el Mall Center Pharm di Mevaseret. Lei doveva essere mia, avrei costeggiato anche la striscia di Gaza pur di averla. 
Se c'è una cosa che mi spinge ad andare oltre quell'Io pavido che posseggo è lo shopping! A ciascuno le proprie medicine: a me corteggiare i vestiti, soprattutto se questi sono in saldo. 
La passione per la giacca si è sgonfiata una volta giunta a casa, mentre gli occhi si sono riempiti di un popolo tanto variopinto e il cuore di tanti atti di gentilezza. 
Alla fermata sotto casa ho chiesto ad un signore se quello fosse l'autobus giusto per giungere al centro commerciale. L'uomo, probabilmente un arabo, mi ha risposto in un inglese stentato e si è offerto di indicarmela una volta giunti in prossimità. Mentre aspettavamo mi ha chiesto se LA MIA LINGUA FOSSE L'INGLESE!!! Attimo di gioia infinita, durato fino a quando ho dovuto confidare di essere madrelingua italiana. Quando rivelo la mia nazionalità la maggior parte ostenta indifferenza, solo qualche maschietto più baldanzoso ha osato dirmi una parolina in italiano (tipo: ciao bella). In un panificio gestito da arabi, il tizio che ci ha servito ha pensato di fare il simpatico dicendo: "Italia bunga bunga". Io e Stefano abbiamo risposto con un sorriso abbozzato. Per fortuna al resto della popolazione residente sul suolo israeliano interessa ben poco delle mie folcloristiche radici, a dimostrazione di quanto siamo poco allettanti (anche in negativo) fuori dall'Europa.
Al ritorno ho chiesto indicazioni ad una ragazzina, la quale dapprima si è intimorita nel rispondermi ma poi, vinta dal desiderio di aiutarmi, ha cercato sul suo iphone la traduzione in inglese per me. Ho scorto sul display quel "I check for you" che mi ha scaldato il cuore. Allora io ho cercato sul mio cellulare la traduzione in ebraico di "è già passato il 186?" che lei non riusciva a capire. Ho trovato quanto siano utili a volte le tecnologie per avvicinare quelle persone timide nel comunicare in una lingua terza. Un tempo c'era i gesti, oggi ci sono i gesti e il traduttore di Google. 
In mio soccorso è arrivata anche una soldatessa, che aveva appena smontato dal servizio militare. Anch'ella si è prima scusata di non parlare bene inglese e poi si è prodigata nell'assistermi. Era bellissima, con uno sguardo felino, i lunghi capelli neri, le mani ben curate e quella brutta divisa del servizio militare. Mentre aspettavamo ne sono arrivate altre, tutte altrettanto giovanissime. Sto cominciando ad abituarmi alla presenza dei metal detector, ai controlli della borsa, ai tanti soldatini piantonati ovunque. Tutto diventa normale, persino i giubbotti antiproiettile, le armi da fuoco e le militari giovanissime. 
Con la soldatessa ho commentato il costume israeliano di fare l'autostop, soprattutto in corrispondenza delle fermate dell'autobus. Ragazzi, adulti e persino donne alzano il braccio per avere un passaggio da uno sconosciuto, a qualsiasi ora e senza nessuna remora. Sarà forse perché sono italiana, ma francamente entrare o far entrare in macchina chi non conosci lo reputo...pericoloso. Chissà se questa è un'abitudine che gli israeliani hanno avuto in eredità dalle loro radici medio-orietali. Poiché non mi sembra che nel resto d'Europa lo si faccia con così tanta frequenza e sicurezza, deduco che non siano stati gli ebrei europei emigrati nella terra promessa ad importarla. 
Nell'attesa del 186 sono passati sotto il mio occhio curioso le sfumature di questo popolo. A parte le musulmane facilmente riconoscibili dal velo, è con gli ebrei che mi diverto a memorizzare le loro differenze in fatto di vestiti e di acconciature. Alcune ebree portano delle gonne nere lunghe fino a sotto al ginocchio o alla caviglia (mi ricordano molto le zingare) e dei fazzoletti sulla testa. Le etiopi in particolare vestono soprattutto con gonne lunghe, in prevalenza scure.
Ci sono uomini con cappelli e vestiti che a me ricordano troppo i personaggi di "La casa nella prateria". Sarà per via di un abbigliamento dal taglio e dal tessuto non proprio moderno, sarà per quel modo particolare di portare la barba, ma a me sembra che provengano tutti dalla America del Nord tardo ottocentesca. 
Poi ci sono quelli con il ricciolo, il cappello largo, il vestito nero e la camicia bianca. Quelli, insomma, conosciuti anche in Italia. Infine, quelli più "normali" (mi scusino gli ebrei se uso questo aggettivo, ma devono capire che il mio è sempre un punto di vista abituato ad altri costumi) con la kippah, molto usata anche tra i bambini. 
Vorrei fotografarli tutti, perché li trovo proprio belli. Credo di avere sviluppato, se non una passione, una simpatia per il mondo ebraico. Mi interessa, mi coinvolge, mi incuriosisce. Persino la lingua mi intriga, peccato non avere il tempo per frequentare un corso completo di primi rudimenti. De gustibus. Ho capito che questa cultura mi affascina molto, ma molto di più rispetto a quella islamica. Attenzione, con queste dichiarazioni non ho l'intenzione di prendere alcuna posizione storico-politica, giacché non ho le competenze né la voglia per farlo. Voglio soltanto dichiarare una curiosità intellettuale a scapito di un'altra.
Faccio, al contrario, una dichiarazione precisa, diretta: i centri commerciali in Italia e in Europa sono oltremodo noiosi. Hanno sì una varietà di vestiti migliori, sia per qualità che per stile, ma sono pregni di gente più o meno tutta uguale: sono multiculturali in modo standardizzato. E dunque finiscono per essere privi di attrattiva per chi come me passerebbe ore intere ad osservare la vita dell'altro. 

domenica 28 luglio 2013

Primo Shabbat di mare

Finalmente è arrivato il primo bagno in mare targato 2013. Quest'anno ci siamo battezzati nelle acque calde e mondane del Mediterraneo israeliano, per la precisione in quelle glamour di Tel Aviv. 
Dopo aver visitato Gerusalemme, non potevamo non dedicare il nostro secondo Shabbat alla visita della capitale economica del Paese, considerata la Miami del Middle East per le spiagge bianche, pullulanti di gente in formissima e circondate da enormi palazzi. 
Avevo stabilito che come prima tappa saremmo dovuti andare nell'antico quartiere di Jaffa, unico sito proveniente dal mondo antico in una città nata - come me - nel '900. Come al solito ho le idee, ma manco di organizzazione. Così ci siamo messi in macchina guidati dalla mia convinzione che il posto fosse a nord di Tel Aviv. Ebbene, si è verificato esattamente quello che accade ogni volta che sono convinta di una cosa: è l'esatto contrario. Sicché dopo aver girovagato lungo le superstrade che circondano la città cercando di trovare un cartello con la scritta della nostra destinazione, Stefano ha suggerito pacatamente di usare il navigatore del mio cellulare. Chi ha la straordinaria capacità di indicare la svolta sbagliata anche quando è ben visibile sullo schermo? Io, naturalmente. Non so come si chiami questo deficit di orientamento, ma forse dovrei provare a sanarlo. Giuro che a piedi ricordo tutto e mi so muovere senza problemi, in macchina o con l'ausilio di strumenti elettronici proprio no. 
Ad un certo punto leggo sul display: tra 300 metri svoltare Gaza. Gaza??? "Stefano, stiamo andando a GAZA!". Per la prima volta ho visto gli occhi dell'ingegnere spalancarsi di terrore. Diciamo che il nostro spirito di conoscenza è alquanto latitante in Israele, cerchiamo di andare solo in posti quasi sicuri, diffidiamo di luoghi e di persone, ci lasciamo facilmente suggestionare da tutto ciò che potrebbe far pensare alla parola "attentato". Se persino a Gerusalemme non eravamo così tranquilli, figuriamoci andando in direzione di Gaza. 
A quel punto l'ingegnere ha preso in mano la situazione occupandosi lui stesso del navigatore. Peccato che arrivati a Jaffa ha pensato bene che fosse troppo araba (e quindi insicura) per i suoi gusti, proibendomi di scendere dalla macchina per cercare la piazza con l'orologio o l'antico porto. Addio, pertanto, gita culturale; lo Shabbat doveva essere passato in tutto e per tutto sulle mondane spiagge telaviviane. 



















Due note sui costumi locali: 
1) gli uomini sono tutti in forma e depilati. Lungomare ci sono degli spazi attrezzati a palestra, accessibili gratuitamente, dove vedi dilettarsi questi energumeni quasi finti. Le donne, con mia somma gioia (sììì! Non mi sono sentita tanto come una dalle forme irregolari), non sono così ben scolpite. Mentre gli uomini passano il tempo a delineare la circonferenza dei bicipiti o a correre sotto il sole, esse si scialano tranquillamente al sole. 
2) non si scambiano effusioni in pubblico! Di coppie ce n'erano tante, ma sia in spiaggia che lungo il boulevard non ho assistito a scambi di affettuosità. La cosa ha lasciato piuttosto interdetta me e felicissimo il mio riservato ingegnere, che nella nostra spudorata (!) Europa biasima i gesti troppo intimi scambiati sotto lo sguardo di estranei (a cominciare dalla tendenza a dover comunicare necessariamente con il contatto fisico della sua fidanzata, europea del sud e pertanto super spudorata). 


Di seguito il link della comunità ebraica di Bologna, in cui si spiega che cos'è lo Shabbat: http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=87

venerdì 26 luglio 2013

Gerusalemme

Ho cercato delle citazioni di autori israeliani che potessero accompagnare le foto scattate a Gerusalemme, ma nessuna riusciva ad esprimere quello che questa città è, che cosa trasmette, la sua atmosfera, le sue tante lingue e i suoi tanti volti giunti da ogni dove per adorare il proprio Dio. 
E' una città unica al mondo, una città che può essere compresa soltanto nel momento in cui la si percorre nei suoi quartieri, nei suoi luoghi di culto, tra le macerie di tempi antichi, in mezzo a popoli così distanti geograficamente, fisicamente e soprattutto culturalmente. 
E' la città cosmopolita per eccellenza. Lo era già ai tempi di Gesù, e lo deve essere necessariamente ora, in questi tempi di cultura globale e di tendenze divisorie pericolose, in cui mangiamo, beviamo, indossiamo, visitiamo, leggiamo e parliamo il mondo dell'Altro, verso il quale però mostriamo diffidenza, timore, fastidio. E quasi mai accoglienza. In Gerusalemme guardiamo noi stessi, il nostro passato mitico e il nostro presente tanto, tanto complesso da gestire. 
Per questa ragione è una città che incanta e disincanta il cittadino del mondo. 

Porta di Giaffa

 Quartiere armeno

 Basilica del Santo Sepolcro

 Pietra dell'Unzione

 Venduta del Muro del Pianto e della Moschea 

 Con la nostra guida nel quartiere ebraico. Non poteva non chiamarsi Abraham

 Una coppia che decide di pregare insieme al Muro del Pianto

Le sfumature dell'ebraismo

 Piscina di Betsabea, dove Gesù guarì il paralitico

Nel giardino della Chiesa di Sant'Anna, il posto che più mi ha emozionato. Qui sorgeva la casa di Maria. 
Io e questa gattina dallo sguardo offuscato ci siamo coccolate. E capite.

mercoledì 24 luglio 2013

I spick Inglish

"Stefano, ho un dubbio...com'è che si dice in inglese ebraico?"
"Hebrew".
"Ehhhhh??? Ma non si dice Ebraic?!!".
O_o

Ora ho capito perché la padrona di casa al mio "how do you say good morning in Ebraic"? ha fatto una faccia interdetta! Poi, evidentemente, ha capito e mi ha risposto cordialmente. In fondo gli italiani sono noti per il loro modo di esprimersi in una lingua straniera, senza porsi il problema che le parole usate siano solo una versione esotica del termine italiano. Mi sono sentita come chi parla in spagnolo aggiungendo semplicemente le S. 
O come Alberto Sordi in Un americano a Roma.



Qualche giorno prima il padrone di casa ha mostrato il mio appartamento a persone interessate ad affittarne uno simile a quello dove noi abitiamo.
E' arrivato con uomo di origine indiana ed un ebreo anziano. Li ho aperti così come ero conciata per casa, ovvero pantaloncini e canottierina. Mentre i tre uomini guardavano curiosi nelle stanze, io ho notato che l'anziano aveva in testa il kippah, il copricapo degli ebrei osservanti. Il primo stupidissimo pensiero che ho avuto è stato: "Oddio, un rabbino!". Allora ho guardato l'uomo, mi sono coperta con le mani e, umilmente, gli ho detto: "I'm sorry, I'm sorry". 
"Don't worry. You are in your house!". Ovvero, sei nella tua casa. Qui siamo in Israele, non rischi una punizione corporale per aver accolto in casa tre uomini vestita discinta. Non sono un rabbino, né tanto meno un imam o il vescovo di Gerusalemme, quindi nessuno ti accuserà di mancanza di rispetto nei confronti di un'autorità religiosa. Keep calm, miss G. Il mio sorriso è il miglior benvenuto che tu potessi ricevere da un ebreo. 


Toda Raba: Grazie

Boker Tov: Good Morning

Laila Tov: Good Night

Shalom: Ciao

martedì 23 luglio 2013

Un dottore arabo-padovano

Stefano ha la febbre da venerdì sera. Finalmente ieri si è deciso a contattare il medico, il quale gli ha dato un appuntamento piuttosto strambo per noi occidentali: 21.30 all'ingresso di Abu Gosh! Si scusava di non poterlo ricevere prima ma aveva osservato il ramadan e doveva mangiare (ovvero non poteva dargli appuntamento alle 20, che comunque è un'ora strana!). La mia incredulità era tale che ho chiesto di poter andare con lui per controllare che fosse realmente un medico serio. L'ingegnere viene da quasi due anni di Iran, per cui è abituato agli orari notturni dei musulmani; io proprio no. 
Dopo dieci minuti che aspettavamo all'entrata del paese, è arrivato un macchinone con a bordo due uomini pelati; uno dei quali ha gridato: "sono il dottore. Seguitemi!". Il mio viso sconvolto era eloquente: sono abituata al medico curante della mia famiglia che riceve a volte il pomeriggio fino alle 17. Che orari sono? Stefano, ridendo, mi ripeteva: "sono arabi. Non vedi i bambini soli per strada a quest'ora? E i negozi tutti aperti?". 
Appena scesi dalla macchina, il sorriso caloroso dell'omone dottore mi ha subito conquistata. "Da dove venite? Io sono padovano!", seguito da una grossa risata. Il dottore era giunto nel 1975 a Padova per frequentare la facoltà di medicina assieme ad un fratello e una sorella, i quali erano rimasti mettendo su famiglia (uno, farmacista, aveva sposato una trentina; l'altra, avvocato, un medico iraniano). Soltanto lui aveva fatto ritorno in Israele, portandosi dietro il ricordo di un Paese meraviglioso e di un amore torinese che non aveva avuto il coraggio di seguirlo. 
Continuava a dirci: "ragazzi, non potete capire che bello era vivere in Italia. Qui gli arabi sono discriminati, vengono sempre sottoposti a controlli, mentre in Italia i carabinieri ti salutano con la testa. Io ero sconvolto che nessuno volesse sapere chi fossi". 
"Erano gli anni di Berlinguer, mi ricordo i cortei degli studenti". 
"La gente mi faceva morir dal ridere quando si poneva il problematico quesito: cosa mangiamo per pranzo? E per cena? Me-ra-vi-glio-si". 
Mentre il dottore ci raccontava del suo periodo italiano, io e Stefano non riuscivamo a credere che un medio-orientale di religione islamica parlasse in questi termini della nostra Italia. Volevamo interromperlo per dirgli: "ma è proprio sicuro di aver studiato in Italia??? Nella Padova padana???"; invece gli abbiamo soltanto detto: "non è più quello di una volta. Oggi è un Paese difficile". 
Già, oggi trattiamo male tutti gli stranieri, compresi gli studenti in medicina simpatici. Abbiamo un ministro di origini africane, ma lo paragoniamo ad un orango. Abbiamo tanti figli di immigrati che non possono accedere alla cittadinanza solo perché non hanno il sangue color italico. Ci piace ancora mangiare, ma il problema del lavoro ci sta togliendo l'entusiasmo nel fare tutto - compreso mangiare. Abbiamo tanti bravi medici, molti dei quali sono stanchi e si sentono sfruttati, mentre altri siedono semplicemente sulla sedia di papà. In pochi ti accolgono con tale affabilità, chiedendoti la parcella con "ma solo se li avete tutti i soldi, altrimenti non c'è problema". 
Se passate per Abu Gosh e avete bisogno di un medico, chiedete del dottore arabo-padovano. Vi riceverà in uno stanzino di una cucina rustica, tra pacchi di zucchero e altre dispense, senza computer e ricettario, regalandovi un momento di grande umanità mentre vi parlerà di un Paese a voi completamente sconosciuto. 

lunedì 22 luglio 2013

Shalom!

SHALOM, amici! 
Aska è in Israele, per la precisione a Shoresh, piccolo villaggio non molto distante da Gerusalemme, dove resterà fino alla fine di agosto. E' corsa in aiuto/supporto del suo ingegnere, che - tutto occupato a costruire una galleria per la TAV Tel Aviv-Gerusalemme - non ha nemmeno il tempo per prendersi cura di se stesso e del loro rapporto a distanza. Giacché anch'ella aveva bisogno del suo ingegnere e non avendo un granché da fare in Italia, ha fatto i bagagli si è trasferita qui per curare - per l'appunto - il suo uomo e se stessa. 
Ad essere sinceri, sono qui per curare soprattutto me stessa. Finché non mi sono messa sull'aereo ed è cominciata questa avventura foriera di tante emozioni, paure e ansie ingiustificate da superare, di volti cordiali e di parlate "strane", ero arciconvinta che facevo tutto per Stefano e per il nostro rapporto. Invece, è quasi esclusivamente un'esperienza per me stessa , per essere più forte, per tornare ad essere quella ragazza piena di vita e di desiderio di conoscenza che ero fino a qualche tempo fa. Aska riprova a danzare, e lo fa nella terra di Abramo, nella terra simbolo delle tre grandi religioni monoteiste, nella terra dove è nato Cristo, insomma in un posto mitico, pregno di storia, di sacro, di contraddizioni, di difficoltà.
A qualcuno che mi scriveva per chiedermi come stesse andando ho raccontato che sembrava quasi di essere in un reality show per gente con le ansie, dove ogni giorno ci sono delle prove da superare per diventare delle persone più sicure, autonome, meno spaventate.
Ci sono le paure legate al fatto che questa è una terra di instabilità sociale, con divisioni pericolose. Se sento degli aerei penso subito che stiano andando verso Gaza, verso il confine con la Siria o che sia successo qualcosa a Gerusalemme. Non mi fido delle folla o di facce più torve. Mi shockano i controlli ovunque, il metal detector all'ingresso pedonale del centro commerciale, l'addetto della sicurezza di turno che ti apre lo sportello della macchina per vedere se non hai armi, girare sempre con il passaporto perché la polizia te lo puoi chiedere anche se stai ferma per i fatti tuoi. 
Poi ci sono le paure più strettamente "mie", banalissime rispetto a quelle per gli attentati, ma snervanti uguali. Innanzitutto c'è l'incubo lingua inglese. Il mio perfidissimo fidanzato non mi ha fornito nessuna informazione sul posto in cui viviamo affinché fossi io ad interagire con le persone. Chi mi conosce sa bene che la prima e più lampante caratteristica che posseggo è la socialità, caratteristica che viene meno quando sono all'estero allorché devo usare la lingua di sua maestà. Ora tra e me l'inglese c'è un rapporto conflittuale: lo studio, lo imparo, lo applico e lo dimentico sistematicamente. E poi nei suoi confronti - maledetto- ho un serio problema psicologico: siccome non riesco ad apprenderlo alla perfezione, non lo uso! Mi blocco di fronte al mio terribile accento italiano e alla mia sgrammaticata conversazione, finendo per non proferir parola o per smettere di ascoltare chi mi sta parlando. Da un'insegnante di lingue straniere è un comportamento riprovevole lo so. E' per questa ragione che il perfidissimo di cui sopra si rifiuta di venirmi in aiuto. 
Altra enorme paura che ho è: CUCINARE per gli altri. Non mi piace, non ho fantasia, non metto sale, non mi piacciono i pranzi elaborati, mi mette solo angoscia farlo perché so che chiunque sa farlo meglio di me. Stesso discorso dell'inglese, siccome non riesco bene preferisco non cimentarmi proprio. 
Il mio fidanzato, che è perfido anche in questo campo, è uno che ama il buon cibo, che non si accontenta delle insalatone o della pasta al limone (la mia specialità!). Al contempo, però, crede molto in me ed è convinto che con un po' di sforzo anche dietro ai fornelli posso combinare qualcosa di buono. Intanto, la sera guarda i miei lavori culinari, mi sorride e prima ancora di assaggiare aggiunge il sale. Dice che ha fede: un giorno anche io troverò piacere nel cucinare. A differenza di lui io ho meno speranza sulle mie capacità (culinarie e linguistiche), ma è per questo che sono in Terra Santa...giusto?! 
Shalom amici, devo correre a preparare la cena. Sigh.


 Davanti alla basilica del Santo Sepolcro

sabato 6 luglio 2013

Suocere moderne

Passaporto pronto, biglietto preso, voglia di rivedersi infinita. Mancava solo dire ai suoi genitori la mia imminente partenza. Così ieri sera, mentre definivamo le ultime cose via skype, abbiamo coinvolto nella videochiamata anche i suoi procreatori.
Molto sommessamente ho annunciato che avrei passato l'estate dal figlio in Terra Santa, sperando che questo "non fosse un problema" per loro. Sotto il regime di mio padre sono stata educata a chiedere il permesso prima di fare qualsiasi cosa. Pertanto, non stupitevi se nell'estate del 2013, io, donna occidentale, istruita, cosmopolita, rendo noto ai genitori del mio fidanzato l'intenzione di andare ad amare il figlio, rimettendomi alla loro benedizione! (Se volete è anche ruffianeria, ma non rivelatelo ai miei suoceri e soprattutto a mio padre!). 
Sua madre, donna del terzo millennio, ha stoppato il mio patetico salmodiare con:

 "Ragazzi, siate felici".

Non ci poteva essere benedizione più bella.

martedì 2 luglio 2013

Su Tumblr

La danza di Aska è anche su Tumblr, dove ripropone vecchi post e nuove idee mentre cerca di esplorare, conoscere, capire, usare questa nuova piazza. L'intenzione è anche quella di rendere Aska madre di nuovi personaggi e di nuove storie. Chissà che non finirà per raccontarci i quasi due anni di "lettere persiane" scambiate tra lei e Chirone. Chissà.

http://ladanzadiaska.tumblr.com/